Ci sono delle notizie che ti lasciano inerme e, per questo, incapace di poterti dare una spiegazione, forse perché una spiegazione non si può accettare per una bambina di soli dieci anni che muore per colpa di un gioco.
È successo mercoledì scorso, quando Antonella, che viveva nel quartiere “Kalsa” di Palermo, aveva finito di cenare insieme alla famiglia. Poi va in bagno per una doccia, e a quel punto nessuno avrebbe potuto pensare che lì la bambina avrebbe trascorso gli ultimi attimi della sua vita. I racconti della famiglia dicono che la bambina, come regalo di compleanno per i suoi dieci anni, aveva avuto un cellulare, uno di questi di ultima generazione, dove, fin da subito, aveva aperto vari account nei principali social, come Instagram, Facebook e l’ultimo TikTok. Ed è stato proprio quest’ultimo social che è stato fatale per la bambina, perché pare che sia stata vittima di una di quelle chiamate “Blackout challenge”, dove la sfida consiste nello stringersi una cintura al collo e provare quanto più tempo si può stare senza respirare. La bambina trova il tempo di compiere questa assurda sfida, ma sono i genitori che non sono più in tempo per poterla soccorrere.
Non vi è dubbio che questi genitori non potranno mai accettare questa assurda morte. Non è facile elaborare un lutto che non ha seguito nessun decorso naturale, come quello che poteva essere per una malattia che, seppur terribile, avrebbe dato loro un senso.
Questa è l’era digitale, ed è proprio questa la generazione di cui faceva parte Antonella. Dopo questo ennesimo e tragico accaduto, si devono fare delle serie considerazioni sull’uso e sull’abuso di queste tecnologie, ed in particolare riguardo all’uso del cellulare ad un’età precoce. Se ci sono bambini che, in un’età così delicata, hanno tra le mani quella che può diventare un’arma, la responsabilità è dei genitori che non sono più capaci di esercitare un’autorità nei confronti dei figli, perché in questa età non si può dare l’autorizzazione ad un bambino o bambina di esporre la sua immagine in un contesto virtuale in cui non si conoscono le intenzioni di chi sta dietro, e a maggior ragione perché questa è un’età in cui non si può avere un completo discernimento per capire cosa sia più prudente fare e cosa no. Ma purtroppo, ormai, i genitori sempre più facilmente cedono al ricatto di figli che, attratti da ciò che offre questa dimensione virtuale, iniziano una serie di assillanti richieste che poi i genitori concedono loro per una sorta di sfinimento.
I genitori, oggi, non sono più capaci di offrire ai bambini un altra alternativa positiva, perché diventa più comodo dare un cellulare in mano a un bambino, che così, rimanendo occupato, dà la possibilità agli stessi genitori, di poter fare, nel frattempo, qualcos’altro. Si dice che fare i genitori sia uno dei mestieri più difficili del mondo, e in effetti lo è. Infatti, crescere un bambino non significa solo provvedere ai suoi bisogni primari, ma vuol dire dargli una serie di input positivi e costruttivi che gli serviranno come strumenti per interpretare alcuni fatti della vita. Sicuramente, questo è un compito arduo.
Poi la situazione della pandemia ha confinato i bambini in una condizione di più totale solitudine, perché si sa che questa è un età in cui i bambini sono particolarmente vitali, e il loro bisogno è quello di scaricare tutte le loro energie, magari facendo una passeggiata fuori con i genitori o i nonni oppure andando al parco, per giocare assieme ad altri bambini, ma queste misure così draconiane, hanno privato ,per un lungo tempo, anche di fare questo ed il risultato è tangibile:bambini stressati, e genitori compresi.
La sperimentazione della “battezzata” DAD (didattica a distanza), così tanto elogiata fin da principio dal ministro dell’Istruzione Azzolina, è stata vista come la migliore alternativa per rimanere “sani e lontani”, ma la soluzione presa è soltanto una conseguenza di questa galoppante tecnologica, che dà l’illusione di come, ormai, essa sia un’alleata delle persone e che, addirittura, possa essere capace di venirci in soccorso anche nel pieno di una pandemia.
Non c’è alcun dubbio che l’opzione della didattica a distanza, vent’anni fa, non sarebbe stata possibile. E allora, quale altra decisione si sarebbe presa? Sicuramente non questa. Probabilmente si sarebbe corso un rischio maggiore, ma con la certezza che i bambini avrebbero continuato ad avere delle relazioni più umane.
Però ancora non abbiamo capito che la tecnologia è una nostra amica, e anche nel momento del bisogno ci è vicina, anche al costo di farci diventare ancora più depressi e asociali.
Forse ancora non ci siamo messi in testa che ci sono alcuni valori che non si possono negoziare né barattare.
Già da qualche anno sono apparsi, come capolavoro della tecnologia, dei robot che ambiscono a diventare come noi umani. L’aspetto estetico, magari, potrà competere con il nostro, ma, ahimè per loro, non potranno mai avere un’anima e quell’empatia che sarà sempre prerogativa di un essere umano unico e irripetibile, e che, nonostante i suoi mille difetti, disperatamente cerchiamo.
Miriam Millaci

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