“Se lascerete i vostri cuori battere all’unisono con le mie parole, avrò compiuto il mio lavoro”.
Sono passati 73 anni da quando l’India ha ottenuto la sua indipendenza, e questo grazie all’immenso sacrificio e abnegazione di un piccolo grande uomo il cui nome è Gandhi.

La sua apparenza aveva ingannato molti perché, mai si sarebbe potuto immaginare che, un uomo così umile e dall’aspetto dimesso, sarebbe stato capace di attirare a sé milioni di persone di ogni estrazione sociale e di ogni età: divenne famosa l’affermazione di Mussolini quando disse:”Quest’uomo e la sua capra fanno tremare l’impero britannico”.

Una frase che riportò in seguito suo figlio Vittorio, ma che comunque, rende bene l’idea di un uomo che, nonostante l’apparenza, fu capace di ridare onore e dignità ad un popolo che, per più di un secolo, era stato sotto il giogo del colonialismo britannico.
Nel 1864, questo immenso continente passa in maniera definitiva sotto il controllo dell’impero britannico. Apparve chiaro, fin dall’inizio che il principale obbiettivo non era quello di apportare dei benefici, di cui avrebbe potuto godere la stessa popolazione, ma al contrario quello di sfruttare tutte le risorse naturali che il continente offriva.

Il lavoro di Gandhi fu molto arduo perché per lui era importante intraprendere un tipo di lavoro che portasse soprattutto ad un “progresso spirituale” nei riguardi di coloro che erano oppressi, solo così sarebbe stato possibile vincere il gigante britannico.

Gandhi, dopo avere finito i suoi studi in legge a Londra, soggiornò per un lungo tempo in Sud Africa; un’esperienza molto dolorosa, ma significativa perché gli diede l’occasione di sperimentare in prima persona la discriminazione razziale.

È lui stesso a raccontare quando un giorno,durante un viaggio da Durban a Pretoria, il treno si fermò a Pietermaritzburg e il conduttore non gli permise di viaggiare in prima classe,dove era solo permesso viaggiare ai bianchi,venendo poi spostato in terza classe. Questo avvenimento, per lui, fu un’ umiliazione, ma anche una spinta che lo motivò ancora di più per creare i presupposti della sua lotta non violenta.

Infatti è proprio nella parola “satyagraha” che Gandhi contenserà il suo pensiero su un tipo di “resistenza passiva”, considerata da lui stesso come la sola arma efficace per potere affermare al mondo intero quella che era la condizione di oppressione del suo popolo.
La figura di Gandhi, la si può contrapporre ad un altra a lui contemporanea il cui nome è Bhagat Singh che, anche se su un binario diverso, si era ritrovato come lo stesso Gandhi a combattere per la causa dell’indipendenza del suo popolo.

La storia di Bhagat è quella di un giovane che, sin da bambino, era stato testimone delle atrocità perpetrate dagli inglesi nei confronti del suo popolo. Bhagat fu un fervente seguace delle idee di Gandhi, aderendo al “Movimento di non cooperazione”, ma abbandonandolo in seguito perché considerato non più efficace nella sua lotta contro l’invasore.

Ci sono due avvenimenti principali che spingono il giovane Bhagat ad intraprendere la sua lotta armata contro l’oppressore.

Il 13 aprile del 1919, migliaia di indiani si riuniscono ad Amritsar per la tradizionale festa del “Baisakhi”, contravvenendo ad una legge marziale decretata dagli inglesi che limitava le riunioni a non più di cinque persone. L’epilogo di quella giornata sarà tragico: più di 379 morti e oltre 1200 feriti, alcuni sostennero che i morti arrivarono a 1000. Il giovane Bhagat visitò subito il luogo del misfatto e, la consapevolezza dell’atroce sofferenza patita dalla sua gente, fece aumentare in lui sentimenti patriottici e allo stesso tempo di profonda avversione contro i dominatori inglesi.

La seconda esperienza dolorosa fu nel 1928 quando, durante una protesta pacifica, venne ucciso il politico e attivista Lala Lajpat Rai.

La giovinezza di Bhagat, insieme a quelli di altri suoi amici, fu spesa interamente per la causa dell’indipendenza. Baghat rinuncia anche al matrimonio, un lusso che un rivoluzionario come lui non avrebbe potuto permettersi. Fa molto riflettere come un giovane possa essere stato così saldo nei suoi ideali, rinunciando per anche all’amore, nonostante nelle sue lettere non aveva mai biasimato il valore di quest’ultimo,anzi, al contrario, affermando che era possibile ed auspicabile che un uomo e una donna potessero stare insieme sperimentando un tipo di amore più “alto” e spirituale. Ricordando anche come lo stesso Giuseppe Mazzini aveva tratto un grande beneficio ricevendo delle lettere da parte della sua donna amata, dopo il fallimento dei moti del 1831.

La vita di Bhagat Singh e dei suoi due amici, prenderà una parabola discendente, dopo l’uccisione di Saunders, l’assistente del sovrintendente di polizia Scott che era il vero obbiettivo di Bhagat e dei suoi amici. L’omicidio di Saunders e poi il lancio delle bombe fumogene alla “Central legislative assembly”: un’ azione dimostrativa, fatta con il solo l’intendo di dare uno scossone all’opinione pubblica per la situazione indiana, saranno due fatti decisivi che porteranno il giovane rivoluzionario alla prigione e poi alla condanna.

Intanto nel frattempo viene formato un tribunale speciale per giudicare i tre indagati. L’ esecuzione sarebbe dovuta avvenire il 24 marzo 1931, ma fu anticipata di undici ore, così i tre giovani furono giustiziati il 23 Marzo 1931 alle ore 19:30 e per di più senza che ai parenti venne dato alcun preavviso

I corpi vennero poi bruciati sulle rive del fiume Sutlej.

C’è una parte di India che, tuttora, ritiene Gandhi responsabile della morte di Bhagat, anche se fin dall’inizio, fu proprio Baghat a rifiutare alcun aiuto .

Il suo sogno e quello dei suoi amici, era quello che il loro esempio potesse diventare un monito per gli altri giovani che dovevano continuare a lottare credendo in un futuro migliore, al grido di “Inquilab zindabad”!

Miriam Millaci
 

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