“Vivere e non vivacchiare!”.

Questa è una frase del beato Pier Giorgio Frassati, un giovane scomparso a soli 24 anni, ma che, nel corso della sua breve e intensa vita, aveva già compreso che ogni persona ha la libertà di scegliere come vivere. Gino Strada, per esempio, apparteneva alla prima categoria: la più nobile di tutte, ma anche la più impegnativa, infatti per vivere appieno la vita in tutte le sue sfaccettature, sia quelle positive, sia quelle negative, bisogna scegliere consapevolmente di essere una persona libera, e questa scelta, per quanto fondamentale, non è affatto scontata

Gino Strada nasce il 21 aprile 1948 a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Dopo la laurea in medicina e chirurgia presso l’Università Statale di Milano, si specializza in chirurgia d’urgenza. Vive per quattro anni negli Stati Uniti, perfezionandosi nella chirurgia dei trapianti di cuore e cuore-polmone presso le università di Stanford e Pittsburgh. Successivamente si sposta in Inghilterra e in Sudafrica, arricchendo ulteriormente la sua esperienza presso l’ospedale Harefield e il Groote Schuur Hospital di Città del Capo.

Nel 1988 decide di applicare le conoscenze acquisite all’assistenza dei feriti di guerra. Fino al 1994 si dedica alla missione con la Croce Rossa Internazionale di Ginevra in Pakistan. Il 1998 segna l’inizio della sua lunga permanenza in Afghanistan, dove rimane per sette anni, curando migliaia di vittime della guerra, molte delle quali ferite da mine antiuomo.

“Io non sono un pacifista, ma sono contro la guerra, e questa è un’altra cosa.”Questa era una delle frasi di Gino Strada, tra quelle che meglio rappresentavano la sua personalità libera e senza schemi. Un uomo che, in più occasioni, aveva denunciato a voce alta e senza peli sulla lingua tutto ciò che andava contro i suoi saldi principi.

Posizioni molto coraggiose, le sue, ma sicuramente scomode per coloro che avevano rinnegato la giustizia in nome della ricchezza e del potere. Si può ricordare come, più volte, si fosse ritrovato a manifestare il suo più sentito sdegno riguardo alla posizione dello Stato italiano che, in oltre dieci anni di guerra in Afghanistan, aveva infranto un principio fondante della nostra Costituzione, più precisamente l’articolo 11, dove viene esplicitamente affermato che l’Italia ripudia la guerra.

Chissà quanta amarezza esprimerebbe oggi di fronte alla posizione bellicista dell’Italia. La decisione di inviare armi in Ucraina, ben potendo prevedere fin dall’inizio che più armi significano più distruzione, sofferenza e povertà._

In una delle sue ultime interviste, in occasione del “Sunhak Peace Prize” a Seoul nel 2017, gli viene chiesto se, in tutti quegli anni, avesse mai avuto ripensamenti. La sua risposta, in un inglese molto chiaro, fu: “I never regretted that choice to get involved in war surgery” (Non ho mai rimpianto la scelta di essermi impegnato come chirurgo di guerra).

La sua risposta non poteva essere più coerente di così. Infatti, la scelta di dedicarsi a coloro che erano più deboli ed emarginati, fin dall’inizio della sua carriera, non era mai stata confinata a una semplice professione, ma per lui era una vera e propria missione. Ha sempre trovato il giusto posto accanto ai più vulnerabili.

La morte di Gino Strada ha lasciato a tutti noi un grande vuoto, perché l’assenza di persone come lui si avverte in modo ingombrante. Ci rassicura e ci dà speranza la certezza che la sua presenza in questa vita terrena non è stata vana. Infatti, come affermava anche il giudice Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”

Miriam Millaci

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