
Era il 1969, gli anni della Guerra in Vietnam, un sanguinoso conflitto che vide contrapposti, da una parte, il Vietnam del Nord, con gli indomiti guerriglieri Vietcong, appoggiati dalla Cina e dall’URSS, e, dall’altra, il Vietnam del Sud, sostenuto dagli Stati Uniti d’America, dalla Nuova Zelanda e dall’Australia.
Questo conflitto, che durò dieci anni, fu l’occasione per molti giovani e non, in diverse parti del mondo, di avviare pacifiche manifestazioni per dichiarare il loro aperto dissenso contro quella che, in seguito, verrà ricordata come una dirty war (“sporca guerra”).
Fu in questa tragica cornice che John Lennon e Yoko Ono, già acclamate celebrità all’epoca, decisero di dare un contributo originale al clima di estrema violenza di quegli anni. Consapevoli dell’impatto mediatico che le loro imminenti nozze avrebbero potuto avere, trasformarono la loro luna di miele in un “bed-in”, termine ispirato ai sit-in, le proteste pacifiche che caratterizzavano quel periodo.
Il bed-in, durato due settimane, iniziò nella suite presidenziale dell’Amsterdam Hilton Hotel e si concluse al Queen Elizabeth Hotel di Montréal. Dalle nove del mattino alle nove di sera, la loro stanza divenne il punto di riferimento per centinaia di giornalisti, curiosi di scoprire l’evolversi delle giornate di questa coppia tanto amata quanto bizzarra.
Le fantasie dei più maliziosi, convinti di poter assistere a momenti di seduzione o a comportamenti provocatori, furono rapidamente disilluse: Lennon e Ono apparivano perfettamente a loro agio nei candidi pigiami, mostrando un’intesa che ricordava quasi un rapporto fraterno.
Alla domanda di un giornalista su cosa si aspettassero di ottenere da quella dimostrazione, Lennon trovò un’inaspettata ispirazione: fu proprio in quel momento che nacque una delle più celebri e belle canzoni pacifiste di tutti i tempi, Give Peace a Chance (“Diamo una possibilità alla pace”).
Ma se in quegli anni parlare di pacifismo era diventato un bisogno impellente per i tanti giovani e non che sentivano il bisogno morale di gridare quanto orribile e folle fosse la guerra, oggi invece al contrario parlare della guerra è diventato quasi un tabù.
Ma se in quegli anni parlare di pacifismo era diventato un bisogno impellente per giovani e meno giovani, spinti da un dovere morale a denunciare l’orrore e la follia della guerra, oggi, al contrario, discutere della guerra sembra essere diventato quasi un tabù.
Ai giorni nostri, eventi come la “Marcia per la pace”, svoltasi a Bologna il 10 novembre 1967, potrebbero apparire anacronistici. In quell’occasione vi presero parte l’attivista non violento Danilo Dolci, il pittore Ernesto Treccani e il professor Rodolfo Margaria, oltre a una delegazione di dissidenti e pacifisti sudamericani e a una rappresentanza vietnamita. Più di 9.000 persone, provenienti da ogni parte d’Italia, si unirono per dire unanimemente no alla violenza, di cui, anche allora, gli Stati Uniti d’America erano protagonisti. La marcia si concluse a Roma, davanti a Piazza Montecitorio. Non saranno pochi, in futuro, ad affermare che quel corteo rappresentò uno dei momenti più alti e nobili del movimento pacifista e antimilitarista mai avvenuto in Italia.
Passarono appena due anni quando, il 13 novembre 1969, anche il popolo americano prese piena consapevolezza dell’orrore perpetrato ai danni di persone inermi. “March Against the Death” (“Marcia contro la morte”) è il nome con cui venne ricordata quella giornata memorabile, in cui uomini e donne di ogni estrazione sociale si unirono per opporsi alla guerra. Il corteo assunse quasi un carattere liturgico: ogni persona sfilava con una candela accesa, ripetendo i nomi di coloro che erano stati brutalmente uccisi nei villaggi del Vietnam.
La tecnologia, oggi più che mai, è diventata sempre più responsabile nel farci perdere la percezione del reale. Non è più fantascienza sentire parlare di Metaverso, questo nuovo mondo virtuale in cui molti hanno già iniziato a costruire una realtà parallela. Non è un mistero che persino numerosi soldati svolgano esercitazioni avvalendosi di sofisticati strumenti di ultima generazione proprio nel Metaverso.
Forse è proprio per questo che stiamo assistendo a un cambiamento delle percezioni umane, dove la guerra appare sempre più distante, quasi irreale.
Sono passati più di cinquant’anni da questi eventi, sono molti anni anni che servono soprattutto per riflettere e per domandarci perché adesso non si senta più così impellente il bisogno di denunciare e allontanare ciò che una volta veniva percepito come qualcosa di sbagliato. Adesso le notizie corrono troppo veloci ed a correre troppo veloci sono soprattutto quelle menzognere.
Sono passati più di cinquant’anni da questi eventi, anni che dovrebbero servire soprattutto per riflettere e domandarci perché oggi non si avverta più con la stessa urgenza il bisogno di denunciare e allontanare ciò che un tempo era percepito come profondamente sbagliato. Ora le notizie corrono troppo velocemente e, a viaggiare ancor più rapido, sono soprattutto quelle menzognere.
Le marce e gli slogan contro la guerra hanno lasciato spazio a squallidi siparietti televisivi, consumati nei talk show più seguiti, dove, ogni volta, i soliti ospiti, con lucida follia, si trovano a parteggiare per l’una o l’altra fazione, minimizzando una situazione che, da un momento all’altro, potrebbe degenerare in un nuovo conflitto mondiale.
Allo stesso modo, anche la maggior parte dei giornalisti, ormai asserviti a poteri più o meno forti, non si sente più in dovere di fornire un’informazione costruttiva, veritiera e orientata al bene collettivo. Al contrario, tendono a far emergere argomentazioni e scoop sensazionalistici, costruiti unicamente per sviare l’attenzione dalle vere cause di ciò che accade.
Per paradosso, invece, chi svolge il proprio lavoro con onestà può trovarsi, senza nemmeno rendersene conto, inserito in apposite liste di proscrizione, quasi a memoria di tempi ormai lontani.
È certo che, ormai, i fatti che ci circondano non lasciano presagire nulla di buono. Forse solo un ritrovato senso di coscienza e responsabilità, da parte di ogni singola persona, potrà farci tornare indietro da un tunnel la cui uscita, ora, si fa sempre più difficile da intravedere.
Miriam Millaci

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