Nella primavera del 1963 esce l’album “The Freewheelin’ Bob Dylan”. Al suo interno è contenuta “Masters of War”, una delle canzoni anti-guerra più potenti di Dylan, dopo “Blowin’ in the Wind”, pubblicata l’anno precedente e inclusa anch’essa nello stesso album. 

Siamo in piena Guerra Fredda, e il 1962 è anche l’anno della crisi dei missili di Cuba: un lasso di tempo di all’incirca due settimane che aveva tenuto il mondo intero con il fiato sospeso. Infatti, si paventava lo scoppio di una terza guerra mondiale.

 

“Masters of War” è un’aperta denuncia — o, meglio ancora, come lo stesso cantautore ammette, “una sorta di catarsi” — per una situazione di cui lui stesso si sente impotente. 

Si scaglia apertamente contro i signori della guerra e gli parla a tu per tu: “You play with my world like it’s your little toy”, e poi ancora, accusandoli di codardia: “You fasten all the triggers for the others to fire”.

 

La fine della canzone è un crescendo feroce e spietato dove, il giovane Dylan non fa sconto a nessuno di questi “potenti”. È certo che neanche tutti i loro soldi potranno essere sufficienti per redimere le loro anime: “All the money you made will never buy back your soul”

Vuole seguire il loro corteo funebre, accertandosi che questi ultimi siano davvero morti: “And I’ll stand o’er your grave / ‘Til I’m sure that you’re dead”.

 

Non vi è dubbio che questa canzone, in particolare adesso, con due devastanti guerre in corso, assume per tutti noi un’enorme risonanza.

Potrei suggerire ai “potenti di Dylan” di ascoltarla. Ma loro non hanno tempo: credo che, adesso, siano troppo impegnati a fare altro.

Miriam Millaci

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