Esiste ancora un’etica nel giornalismo?

“Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti.” ( Karl kraus)
È sempre più difficile tracciare un confine netto tra giornalismo serio e quello che una nota trasmissione satirica chiamerebbe “spetteguless”. Questa ambiguità si manifesta soprattutto nei talk show più seguiti, dove personaggi mitologici — a metà tra gossippari e pseudo-giornalisti — diventano, inspiegabilmente, protagonisti indiscussi del dibattito pubblico, esibendo un presunto acume e una presunta erudizione.
A questo proposito, mi viene in mente un noto detto siciliano:
“Fatti ‘a nomina e va’ curcati.”
(Ottieni un nome, poi puoi dormire sonni tranquilli.)
Oggi non è necessario dimostrare di saper fare qualcosa: è sufficiente farlo credere, anche bluffando. E il gioco è fatto.
Tra i tanti casi degni di studio, trovo significativo soffermarmi su Selvaggia Lucarelli. Cercando la sua biografia, leggiamo: giornalista, scrittrice, opinionista, speaker e giudice televisiva. Una personalità poliedrica, certo, ma tra questi titoli uno stona: giornalista.
Non si tratta di antipatia personale. Il punto è che chi esercita la professione giornalistica dovrebbe possedere etica e principi morali, evidenti nel lavoro svolto.
Tempo fa si sollevarono dubbi sulla sua iscrizione all’albo dei giornalisti. La stessa Lucarelli confermò di aver lasciato l’Ordine nel 2023, dopo la riapertura di due esposti a suo carico risalenti al 2020. Da allora si è appellata all’articolo 21 della Costituzione: libertà di espressione. Un diritto sacrosanto, certo, ma la libertà non è sinonimo di immunità dalla responsabilità riguardo a ciò che si scrive e che si dice.
Il 21 maggio 2020, in piena pandemia, “Il Fatto Quotidiano” pubblica un’intervista audio. Intervistato: Giuseppe De Donno, stimato pneumologo e promotore della terapia con plasma iperimmune.
Nel titolo — “Mr Plasma” — si coglie subito un intento denigratorio.
La conversazione dura mezz’ora e appare come un costante tentativo di screditare De Donno, toccando anche il caso di Pamela, paziente incinta alla 27ª settimana e sottoposta alla terapia sperimentale (fortunatamente guarita, e ha dato alla luce una bambina).
Il 27 luglio 2021, De Donno viene trovato senza vita nella sua abitazione. Aveva 54 anni e si era appena dimesso dal suo incarico di primario, continuando la sua attività di medico di base. Per molti, le pressioni mediatiche e la mancanza di supporto sono stati fattori determinanti per il gesto.
L’empatia sembra completamente assente, soprattutto quando Lucarelli si è scagliata contro i cosiddetti “no vax”.
In un tweet, scrive:
“Madonna, come vorrei un virus che ti mangia gli organi in dieci minuti riducendoti a una poltiglia verdastra che sta in un bicchiere, per vedere quanti inflessibili no-vax restano al mondo.”
Recentemente è apparsa su “Accordi & Disaccordi” (Canale Nove) in veste non meglio precisata tra PM e criminologa. Interpellata sull’omicidio di Chiara Poggi, dichiara con sicurezza la colpevolezza di Alberto Stasi. Un giudizio netto, che ignora anni di processi e sentenze.
Non contenta, attacca l’avvocato di Stasi, Antonio De Rensis, con un articolo dove lo definisce “piacione” e ironizza sul suo aspetto, paragonandolo a Kim Kardashian. Ne ha anche per Massimo Lovati, l’avvocato del nuovo indiziato, Andrea Sempio, che lo paragona allo chef Iginio Massari, dopo aver bevuto tre prosecco. Degli accostamenti del tutto fuori luogo, con il solo intento di mettere in ridicolo l’immagine e la reputazione di due professionisti.
Se oggi l’informazione è ridotta così, la colpa è anche dei lettori, sempre meno esigenti e sempre più attratti da contenuti superficiali e sensazionalistici.
Come diceva Kraus, quando il sole della cultura si abbassa, è facile confondere nani per giganti.
L’informazione diventa terreno fertile per la manipolazione, alimentata da chi consuma e condivide senza spirito critico.
Con l’intelligenza artificiale che già modifica il nostro modo di pensare, l’informazione dovrebbe ritrovare una dimensione seria, non orientata ai like e ai follower, ma alla verità, alla responsabilità e all’etica professionale.
Il filosofo Zygmunt Bauman, nel suo saggio “Consumo, dunque sono”, evidenzia come anche l’informazione sia diventata un bene di consumo. Questo ci invita a riflettere sull’irresponsabilità con cui si diffonde una notizia — e anche sull’irresponsabilità con cui viene recepita.
Ora sta a noi scegliere:
Vogliamo essere consumatori passivi, o lettori consapevoli?

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